Background
Il Sudan ospita quasi 3.2 milioni di profughi e 800.000 rifugiati. Grazie alla sue posizione geografica strategica - il confine con la Libia-, il Sudan è una delle principali rotte migratorie del Corno d’Africa. Dal 1989 al 2019 il Sudan è stato governato dal dittatore Omar al-Bashir, il quale è stato accusato di genocidio e di crimini di guerra durante i conflitti in Sudan del Sud e nella regione del Nilo Azzurro, perpetrati dalle sue milizie armate conosciute come ‘Janjaweed’. La Corte Penale Internazionale ha emesso due mandati d’arresto contro al-Bashir. L’Unione Europea, sebbene abbia attivato sanzioni contro il Sudan (come un embargo di armi), negli ultimi 5 anni ha costantemente finanziato il regime per migliorare il suo controllo delle frontiere e per impedire ai migranti di raggiungere la Libia. Nell’aprile 2019, dopo mesi di violente proteste contro il regime, al-Bashir è stato rimosso attraverso un colpo di stato militare. Il Sudan ora è governato da un governo transitorio presieduto da Amdalla Hamdok. La prossima sezione espone un breve resoconto delle politiche dell’Unione Europea in Sudan. Per un’analisi approfondita sulla questione, vedere gli articoli proposti nell’ultima sezione (Letteratura Esterna).
Il Memorandum d’Intesa del 2016 è il primo accordo svelato tra l’Italia e il Sudan nel campo della migrazione. Attraverso il suo meccanismo di rimpatri completa l’approccio delle politiche migratorie europee nel Corno d’Africa. Quest’approccio si può riassumere così: al posto di respingere i migranti nel Mediterraneo (pratica contraria al diritto internazionale), gli stati africani vengono lautamente compensati per migliorare il controllo dei propri confini e per trattenere i migranti (pratica conosciuta come ‘esternalizzazione del controllo dei confini’); i migranti che riescono ad approdare sulle coste europee vengono invece, dove possibile, rimpatriati utilizzando accordi bilaterali conclusi o dagli stati europei o dall’Unione Europea con i paesi africani.Nel novembre 2014, l’UE ha concluso il ‘processo di Khartoum’, un accordo multilaterale con gli stati del Corno d’Africa avente l’obiettivo di combattere l’immigrazione illegale. Un anno dopo, nel mezzo della cosiddetta ‘crisi migratoria’, i capi di stato Europei e Africani si incontrarono alla Valletta per istituire un nuovo, condiviso approccio ai flussi migratori: il risultato di questo incontro fu la creazione del ‘fondo fiduciario d’emergenza per l’Africa’ (EUTF for Africa). Il fondo include risorse per lo sviluppo da una parte, e per la repressione e il controllo di flussi migratori dall’altra. Dal 2015 il Corno d’Africa ha ricevuto € 1.4 miliardi in fondi. Il Sudan ha percepito€ 160 milioni, dei quali €40 milioni sono destinati al programma ‘Better Migration Management’ (BMM), volto a impedire che i migranti arrivino in Libia. Attraverso questo fondo, l’Unione Europea ha fornito al regime Sudanese assistenza tecnica, addestramento e dispositivi elettronici all’avanguardia (computers, camere, scanner termici, servers, autoblindati) per controllare le sue frontiere. Il programma BBM ha suscitato forti critiche, in quanto le frontiere Sudanesi sono sorvegliate dalle ‘Rapid Support Forces’, forze speciali nelle quali vi sono arruolate le infami milizie Janjaweed.
Ricapitolando, il Memorandum of Understanding tra l’Italia e il Sudan può essere inquadrato come parte dell’approccio contemporaneo delle politiche migratorie Europee in Africa. Questo approccio consiste nel: (i) trattenere i migranti all’interno dei confini Sudanesi, impedendogli di raggiungere la Libia, e (ii) rimpatriare i migranti giunti in Europa attraverso accordi formali o informali conclusi con alcuni stati Africani.
Procedura
Accordo ‘tecnico’ segreto tra i Dipartimenti di Polizia delle due parti.
Soggetti Contraenti
Per l’Italia, il DIpartimento di Sicurezza Pubblica; per il Sudan, la Polizia Nazionale.
Firma
Il Memorandum è stato firmato a Roma il 3 Agosto 2016 da Franco Gabrielli, capo della Polizia e direttore generale del Dipartimento di Sicurezza Pubblica, e Hashim Osman Elhuissein, il direttore generale delle Forze di Polizia Sudanesi.
Base Legale
La Direttiva No. A/XII/4 del 3 Marzo 2008 ('Procedure relative agli accordi internazionali ed alle intese interministeriali o tecniche') del Ministero degli Esteri è stato utilizzato come base legale dal Dipartimento di Sicurezza Pubblico Italiano per concludere ‘procedure di rimpatrio semplificate’. Presuntamente questi accordi tecnici non equivalgono a trattati formali e non possono essere attribuiti né al governo Italiano né alla Repubblica Italiana.
Obiettivi
“Lotta contro la criminalità organizzata internazionale, specialmente contro il traffico di migranti e l’immigrazione illegale, il traffico di esseri umani, di droghe ed il terrorismo”; “Politica efficace di rimpatri” come deterrente all’immigrazione illegale.
Contenuto
Il contenuto del Memorandum può essere diviso in tre parti: la prima riguarda la cooperazione in campo di Polizia contro la criminalità organizzata internazionale, specificamente contro:
1. Gruppi criminali attivi nel traffico degli esseri umani e della droga.
2. Gruppi terroristici.
Le misure di cooperazione si focalizzano nella creazione di canali d’informazione tra i due Dipartimenti di Polizia, con la finalità di identificare i gruppi criminali, i loro partecipanti e modus operandi, e arrestare o confiscare asset. Il Memorandum prevede un meccanismo per la “Richiesta di Assistenza”, nonché corsi di formazione e addestramento.
La seconda parte del Memorandum riguarda la “Collaborazione per il controllo delle frontiere e dei flussi migratori”. Con l’obiettivo di migliorare le capacità di controllo delle frontiere Sudanesi e contrastare l’immigrazione irregolare, l’Italia offre, su base annuale, supporto e assistenza tecnica per addestrare le forze Sudanesi e fornisce mezzi e attrezzature. Nell’accordo viene evidenziato come l’Italia possa richiedere il supporto finanziario dell’Unione Europea per far fronte alle sopracitate spese (Articoli 8.1, 8.2).
La terza e ultima parte del Memorandum crea due sistemi per i rimpatri: uno ordinario e uno “in casi di necessità e di urgenza”. Come verrà trattato più avanti, il secondo sistema solleva dubbi e preoccupazioni per quanto riguarda il principio di non refoulement.
Funzionamento dei sistemi di rimpatrio:
1. Sistema Ordinario:
L’ Articolo 9 del Memorandum prevede che le autorità diplomatiche o consolari Sudanesi, su richiesta della Polizia Italiana, debbano assistere le autorità italiane nell’identificazione dei migranti irregolari Sudanesi. L’identificazione si basa su un’intervista condotta dove il migrante è tenuto o detenuto. Nel caso di “piccoli numeri di migranti” l’intervista può avere luogo all'ambasciata o al consolato Sudanese. Dopo l’intervista, “senza svolgere ulteriori indagini” sull’identità del migrante, l’autorità Sudanese deve prontamente rilasciare un documento di emergenza per l’attuazione del rimpatrio.
2. Sistema di Rimpatrio in caso di Necessità e Urgenza:
L’ Articolo 14 prevede una procedura semplificata e velocizzata in casi di necessità e urgenza, concordati tra i due Dipartimenti di Polizia. Attraverso questa procedura l’identificazione del migrante da rimpatriare è eseguita direttamente nel territorio sudanese. Teoricamente, i migranti che “risultano non essere cittadini Sudanesi” vengono riportati in Italia “dallo stesso vettore aereo” (Articolo 14, paragrafo 2.b). Riassumendo, attraverso questa procedura i presunti migranti sudanesi (quale sia la base di questa presunzione non è esplicitata) vengono rimpatriati direttamente in Sudan, per poi essere riportati in Italia qualora appaia che non sono di cittadinanza Sudanese. La penultima sezione (“criticità”) propone un’analisi legale approfondita sulle violazioni di diritti fondamentali derivanti da questa procedura.
Legislazione secondaria e applicazione
Vi è un giudizio pendente di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU, 'W.A. e Altri contro l’Italia'; Richiesta n. 18787/17). Il giudizio riguarda il rimpatrio di cinque migranti Sudanesi arrestati a Ventimiglia, trasferiti a Torino e successivamente rimpatriati forzatamente insieme ad altri trentacinque migranti Sudanesi attraverso i meccanismi del Memorandum.
Questioni legali pendenti di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo:
1. Il principio di non refoulement derivante dall’Articolo 3 CEDU è stato rispettato?
2. Il rimpatrio è stato eseguito collettivamente (pertanto senza considerazione dei singoli casi)?
3. Gli applicanti hanno avuto una adeguata possibilità di accesso a rimedi di giustizia nazionali?
4. Gli applicanti sono stati vittime di discriminazione in base alla loro nazionalità in violazione dell’Articolo 14 CEDU?
Criticità
La Clinica legale dell'Università di Torino per i Diritti Umani e la Migrazione del 2017 ha evidenziato in particolar modo tre criticità derivanti dalle disposizioni del Memorandum riguardanti l’identificazione e l’espulsione di cittadini Sudanesi:
a) Violazione del principio di non refoulement:
Senza riguardo alcuno per la deplorevole situazione sociale e politica del Sudan, il Memorandum non riporta alcun riferimento esplicito al principio di non refoulement. Le procedure di identificazione e rimpatrio previste dagli Artt. 9 e 14 violano sia il diritto internazionale che quello umanitario. Il sistema di rimpatri viola le tutele garantite dall’Articolo 3 CEDU (protezione contro il refoulement), dal diritto Europeo (la Direttiva sui Rimpatri, la Direttiva sulle Procedure e la Direttiva sulle Qualificazioni impongono specifiche norme sostanziali e procedurali per il rimpatrio dei migranti), nonché il diritto Italiano (Articolo 19 del Decreto Legislativo n. 286/1998).
b) Violazione del divieto di eseguire espulsioni collettive:
Il gruppo di cittadini Sudanesi (gli applicanti nel caso W.A. e altri contro l’Italia) sono stati apparentemente soggetti di un’espulsione collettiva. Sostengono che il loro rimpatrio non è stato basato su un’esame equo, obiettivo e proporzionato delle loro situazioni individuali. L’esecuzione di espulsioni collettive è esplicitamente proibita dall’Articolo 4 del Protocollo n. 4 della CEDU, dall’Articolo 19 (paragrafo 1) della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nonché è ritenuta essere un principio imperativo del diritto internazionale.
c) Diniego di giustizia:
Il sistema di rimpatrio in caso di “necessità e urgenza” previsto dall’Articolo 14 del Memorandum prevede l’espulsione diretta del migrante, senza che questo abbia la possibilità di accedere all’apparato giudiziario dello Stato Italiano. Questa pratica viola manifestamente gli Articoli 3 e 13 CEDU, l’Articolo 46 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e le garanzie procedurali del capitolo III della Direttiva sui Rimpatri dell’Unione Europea (Direttiva 2008/115/CE).