Procedura, basi giuridiche e obiettivi
Casi e diritto derivato (applicazione)
Contesto
La vicinanza geografica tra Italia e Slovenia ha sicuramente condizionato l'organizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Tuttavia, la storia delle relazioni tra i due paesi può essere rintracciata negli ultimi anni con la Dichiarazione congiunta sullo stabilimento delle relazioni diplomatiche, conclusa a Lubiana il 17/10/1992 ed entrata in vigore lo stesso anno. Da quel momento in poi, le relazioni tra i due stati si sono potute normalizzare con atti come l'accordo bilaterale del 1996 e l'accordo sulla cooperazione transfrontaliera e di polizia del 2011, che mirano a contrastare la criminalità organizzata e i flussi di immigrazione clandestina.
Questi accordi e, in generale, la storia delle relazioni tra questi due paesi devono essere visti nell'ampio contesto della "rotta balcanica", da anni espressione di una vera e propria tragedia umanitaria con migliaia di migranti che vivono in condizioni precarie, persecuzioni e violenze. Questa rotta rappresenta il viaggio che i migranti devono affrontare, fuggendo dalla guerra o dal regime totalitario in Medio Oriente. Secondo i dati Eurostat, pubblicati dall'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, tra le richieste di asilo in Europa il biennio 2018/2019, il 32,72% proviene dall'Afghanistan, il 25,91% dal Pakistan, l'8,03% dalla Siria, il 6,56% dall'Iraq e infine il 4,61% dall'Iran.
Dopo un estenuante viaggio, i richiedenti asilo vengono respinti dalle autorità pubbliche italiane presenti alla frontiera di Trieste verso la Slovenia, da dove vengono rimandati in Croazia e successivamente in Bosnia. In particolare, i principali luoghi strategici del traffico migratorio sono Tuzla e Sarajevo, che rappresentano due punti di transito per chi arriva da Serbia e Montenegro. Bihać e Velika Kladuša, invece, sono diventati due hotspot per le persone che aspettano di attraversare il territorio dell'Unione Europea. Infatti, molte testimonianze nel merito sono state raccolte soprattutto da ONG internazionali che descrivono la brutalità e le atrocità fisico-psicologiche a cui sono sottoposti i migranti al confine tra Croazia e Bosnia. In particolare, Amnesty International, in un Rapporto del 2019, denuncia la negazione del diritto d'asilo e il mancato rispetto delle garanzie procedurali relative alle espulsioni collettive, nonostante l'esistenza di riscontri pubblici di violenza questi territori. L'UNHCR ha anche pubblicato diversi rapporti che denunciano i comportamenti della polizia alle frontiere dei paesi interessati, spesso consistenti in trattamenti inumani e degradanti come la tortura, la distruzione di proprietà e le percosse. Queste condotte sono state tenute al fine di danneggiare i migranti e spesso persone vulnerabili come i minori, le donne incinte e le persone con disabilità.
Procedura, basi giuridiche e obiettivi
L'accordo venne concluso in forma semplificata fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica slovena. Venne firmato a Roma il 3 settembre 1996, senza fare riferimento ad alcun accordo precedente. L'accordo è 'auto-legittimato'.
L'obiettivo è combattare l'immigrazione illegale e il traffico di esseri umani, controllare i confini italo-sloveni, regolamentare la riammissione di richiedenti asilo nei rispettivi territori, attraverso disposizioni volte al supporto della riammissione in tutto il territorio dei due Stati dei cittadini di una delle due Parti o provenienti da Stati terzi.
Contenuto
Articolo 1: L'Italia e la Slovenia prevedono la riammissione nel proprio territorio - su richiesta dell'altra Parte - di tutte le persone che non soddisfano, o non soddisfano più, gli obblighi relativi alle condizioni di ingresso o soggiorno nel territorio della Parte contraente richiedente sulla verifica del possesso della cittadinanza della Parte (obbligatoria). Il secondo paragrafo specifica che questa verifica può essere basata su più documenti (carta d'identità, passaporto), anche se sono irregolarmente rilasciati o scaduti (non più di 10 anni fa). Nel terzo paragrafo, la Parte contraente richiedente accetta di nuovo la persona se è provato che la mancanza di possesso della cittadinanza della Parte contraente richiesta una volta fuori dal territorio della Parte contraente richiedente.
Articolo 2: L'Italia e la Slovenia riammettono sul loro territorio, su richiesta dell'altra parte, i cittadini di un Paese terzo che non hanno, o non hanno più, i requisiti di ingresso o di soggiorno avviati sul territorio della Parte contraente richiedente, una volta accertato che questi cittadini hanno soggiornato o sono transitati sul territorio della Parte richiesta e sono successivamente entrati sul territorio della Parte (contraente) richiedente. Allo stesso modo, l'Italia e la Slovenia riammettono i cittadini del paragrafo precedente sul loro territorio, quando hanno un permesso di soggiorno valido rilasciato dalla parte contraente richiesta.
Articolo 3: L'obbligo di riammissione previsto dall'articolo precedente non si applica in 5 casi: (a) cittadini di paesi terzi che confinano con la Parte contraente richiedente; (b) cittadini di Stati terzi ai quali la Parte contraente richiedente ha rilasciato un permesso di soggiorno o un visto; (c) cittadini di paesi terzi che rimangono nel territorio della Parte richiedente per più di 6 mesi; (d) i cittadini di Stati terzi ai quali la Parte richiedente ha riconosciuto sia lo status di rifugiato (Convenzione di Ginevra 1951) che quello di apolide (Convenzione di New York 1954); (e) i cittadini di Stati terzi espulsi per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale dalla Parte contraente richiedente verso il loro paese di origine o verso un paese terzo.
Articolo 4: La Parte richiedente accetta sul suo territorio i cittadini di paesi terzi che non soddisfano le condizioni - in base al controllo effettuato dall'altra Parte - richieste dagli articoli 2 e 3 in occasione dell'uscita dal territorio della Parte contraente richiedente.
Articolo 5: Il Ministero degli Affari Interni dei due Stati contraenti si occuperà delle domande di riammissione. La domanda di riammissione deve includere l'identità della persona e i dati personali del cittadino del terzo Stato, del suo soggiorno nel territorio della parte richiesta e delle circostanze del suo ingresso illegale nel territorio della parte richiedente. La parte richiesta deve comunicare la sua decisione per iscritto alla parte richiedente entro otto giorni. L'autorizzazione dopo la ratifica è valida per un mese dalla data della sua notifica.
Articolo 6: Le autorità di frontiera dello Stato richiesto riammettono senza formalità, su richiesta dello Stato richiedente, i cittadini irregolari di Stati terzi consegnati entro 26 ore dal passaggio o se controllati e trovati irregolari entro dieci chilometri dalla frontiera comune.
Articolo 7: La parte richiedente deve sostenere le spese di trasporto alla frontiera della parte richiesta delle persone di cui si chiede la riammissione. Se necessario, la parte richiedente si fa carico delle spese di ritorno.
Articolo 8: Le parti contraenti, previa autorizzazione reciproca, possono permettere il movimento dei cittadini stranieri contro i quali è applicato un ordine di espulsione. I paragrafi seguenti stabiliscono inoltre che la parte richiedente è responsabile del viaggio della persona in questione, di riprenderla in caso di superamento dell'inapplicabilità dell'ordine di allontanamento e di garantire il possesso di un documento di viaggio adeguato da parte dello straniero.
Articolo 9: La parte contraente che emette il provvedimento di espulsione deve notificare alla parte contraente richiesta la necessità, durante il transito, di fornire una scorta alla persona espulsa attraverso il personale dello Stato richiesto o in collaborazione tra i due paesi.
Articolo 10: La richiesta di transito, che contiene le informazioni essenziali relative allo straniero e al suo movimento, nonché la garanzia di ammissione nel paese di destinazione, è inviata direttamente dai Ministeri dell'Interno delle parti contraenti.
Articolo 11: Legittimo il rifiuto del transito per l'allontanamento, che può avvenire: (a) per i rischi di persecuzione presenti e attuali a cui lo straniero sarebbe sottoposto nel paese di destinazione; (b) per i rischi di accuse o condanne penali nel paese di destinazione; (c) per l'inammissibilità dello straniero o per essere sottoposto a procedimenti penali nello Stato richiesto.
Article 12: Le spese di trasporto alle frontiere dello Stato di destinazione sono a carico del paese firmatario.
Articolo 13: Persistenza degli obblighi delle parti contraenti che derivano dall'applicazione di altri accordi internazionali.
Articolo 14: Responsabilità del Ministero degli Affari Interni delle Parti contraenti per la decisione sui luoghi di frontiera in cui sarà concessa la riammissione e il transito delle persone straniere. Responsabilità delle stesse istituzioni anche per quanto riguarda la lista degli aeroporti dove sarà concesso il transito di queste persone.
Articolo 15: Risoluzione delle possibili controversie generate da questo accordo attraverso i canali diplomatici.
Disposizioni finali – Article 16: 1. Il presente accordo entra in vigore il primo giorno del secondo mese successivo alla notifica reciproca del completamento di ogni procedura nazionale di approvazione. 2. Può essere denunciato mediante notifiche inviate per via diplomatica, che hanno effetto per novanta giorni dopo la sua entrata in vigore.
Casi diritto derivato (applicazione)
Primo precedente giuridico in materia di casi di illegittima espulsione collettiva è il caso Sharifi e altri c. Italia e Grecia (sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 21 ottobre 2014 - ricorso n. 16643/09), in seguito al quale l'Italia è stata condannata - in virtù dell'accordo bilaterale firmato nel 1999 - dalla CEDU per la riammissione non registrata e non discriminata di individui stranieri verso il territorio ellenico.
Per quanto riguarda il divieto dei cosiddetti respingimenti a catena, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo consiste in diversi casi: Ilias e Ahmed c. Ungheria, 14 marzo 2017; Sharifi e altri c. Italia e Grecia, 21 ottobre 2014 e Tarakhel c. Svizzera, 4 novembre 2014, casi che hanno portato gli organi legislativi dell'Unione Europea alla decisione di modificare il preesistente Regolamento n. 604/2013 (attuale Regolamento Dublino 3).
Infine, è da tenere in considerazione l'Ordinanza n. 56420/2020 firmata dal Tribunale di Roma.
Questioni critiche
Per quanto riguarda le criticità presenti nel testo dell'accordo bilaterale concluso tra Italia e Slovenia, di cui al testo dell'ordinanza 56420/2020 del Tribunale di Roma, sono rilevanti sia le fonti sovranazionali che quelle di diritto interno. Riguardo a queste ultime, vi è un'incongruenza con l'art. 10 comma 2 della Costituzione italiana, che stabilisce la conformità delle fonti sulla condizione giuridica dello straniero alle norme e ai trattati di diritto internazionale, che alcuni aspetti dell'accordo stentano a raggiungere.
In secondo luogo, vi è un'ulteriore discrepanza con l'obbligo di preventiva convalida da parte dell'autorità giudiziaria in merito ai provvedimenti di libertà personale in sede di respingimento ed espulsione dello straniero, obbligo delineato dal secondo comma dell'articolo 13 della Costituzione italiana.
Altra questione costituzionale rilevante è la dubbia legittimità di accordi, come quello in questione, che non siano stati ratificati dalle Camere - nei casi previsti dall'articolo 80 - e dal Presidente della Repubblica ai sensi dell'articolo 87. Data la natura politica di questo accordo concluso in forma semplificata, in questo senso vi è anche una minore centralità del dibattito parlamentare da cui deriva l'assenza di informazione pubblica sull'argomento.
È necessario ricordare come gli accordi conclusi tra l'Italia e un paese terzo siano espressione della sovranità statale, che tuttavia non deve pregiudicare la garanzia dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo. Da questo punto di vista, emerge una prima criticità relativa alla tutela dell'effettivo diritto di ricorso, in quanto il respingimento non viene notificato ai diretti interessati, privandoli della possibilità di difendersi in contrasto con la tutela prevista dall'articolo 13 della CEDU e dall'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sul diritto di difesa.
In secondo luogo, la prassi stabilita dall'art. 2 dell'accordo bilaterale è in contrasto con il diritto fondamentale del richiedente di accedere alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale (prevista dalla direttiva 2013/31 UE); articolo in base al quale "ciascuna parte contraente si impegna a riammettere nel proprio territorio il cittadino di un paese terzo che non soddisfa le condizioni di ingresso e soggiorno". L'incongruenza deriva in particolare dal fatto che, come riportato nella citata ordinanza, "il richiedente asilo la cui domanda di protezione internazionale può essere espressa oralmente non può mai essere considerato irregolare sul territorio".
Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello relativo alla compatibilità dell'accordo con la tutela del diritto d'asilo. In particolare, secondo quanto dettato dal testo della Convenzione di Ginevra del 1951 e dal disposto dell'articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, gli Stati membri dovranno verificare individualmente la domanda compilata dal richiedente asilo e informare i soggetti coinvolti dell'esistenza di questa procedura. Sulla stessa nota, il Ministero dell'Interno ha dichiarato che in presenza di una richiesta di riammissione non è necessario inviare alla questura questa formalizzazione della richiesta di asilo. Questa particolare situazione determina la riammissione sul territorio dell'altra parte dei richiedenti asilo e giustifica anche la qualificazione di questi soggetti come immigrati irregolari.
Conseguenza di questa procedura è una lesione del diritto all'asilo dell'individuo che, come ulteriore effetto, determina una violazione del principio di non refoulement (art. 33 della Convenzione di Ginevra). Quegli stessi doveri di protezione sussidiaria sono sanciti dall'art. 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea: si può quindi sostenere l'inadempimento dell'Italia - in quanto Stato membro dell'Unione europea - ai doveri imposti dall'istituzione di una politica comune in materia di richiesta d'asilo. Dal mancato esame individuale delle domande d'asilo ha origine un respingimento a catena verso la cosiddetta "rotta balcanica", che conduce gli immigrati verso Paesi in cui sono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, in violazione degli articoli 2 e 3 CEDU e dell'articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE. Per quanto riguarda il diritto nazionale, il decreto legislativo n. 286/1988 vieta chiaramente, al suo articolo 19, il trasferimento di soggetti stranieri verso Paesi in cui persiste il rischio di essere sottoposti a torture, persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti
Un'ultima considerazione riguarda la sussistenza di una situazione di responsabilità condivisa tra le parti dell'accordo, dovuta alla sistematica mancanza di tutela dei diritti e principi fondamentali considerati. Questa stessa mancanza di protezione avrebbe potuto essere evitata per mezzo di un più attento e impegnato rispetto della difesa internazionale.